Article 21 marzo 2022

La diagnosi di celiachia diventa sempre meno invasiva

Sorprendenti notizie giungono dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: nuovi biomarker diagnostici sono stati identificati nei pazienti celiaci e rivoluzioneranno la diagnosi di questa malattia. Se i dati verranno confermati, ben presto potremo dire addio o quantomeno ridurre drasticamente l’utilizzo di esami di screening invasivi

Gonfiore addominale, astenia, perdita di peso, diarrea. Sono solo alcuni dei sintomi che riportano le persone con celiachia.
Il concetto di celiachia fu introdotto per la prima volta da Areto di Cappadocia nel 250 d.C., definendo "koiliakos" "coloro che soffrono negli intestini". Questo termine fu, poi, tradotto, da Francis Adams nel 1856 con "celiaci".

In Italia, la celiachia è una malattia molto frequente che colpisce circa l’1% della popolazione. Si stima che i soggetti affetti da questa condizione autoimmune siano circa 600.000 contro i 198.427 con diagnosi certa.
Considerando che questa malattia può avere severe complicanze e comportare una serie di comorbidità, diventa di fondamentale importanza disporre di una diagnosi tempestiva e certa.

Sebbene la biopsia intestinale sia il test di riferimento per la diagnosi, in caso di sospetta celiachia, la disponibilità di esami non invasivi ha ridotto il numero di biopsie.
Lo screening sierologico si basa sulla determinazione degli anticorpi specifici appropriati (anti-transglutaminasi tissutale IgA o IgG, anti-Gliadiana deamidata IgA o IgG).

Il gold standard per la diagnosi di celiachia nei soggetti pediatrici è l’associazione di test sierologici e biopsia duodenale.

Tuttavia, i risultati provenienti da un recente lavoro pubblicato su eBioMedicine potrebbero stravolgere completamente l’approccio diagnostico nella celiachia permettendo di limitare ulteriormente l’utilizzo di tecniche diagnostiche invasive.

Un team di ricercatori italiani coordinato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha, infatti, individuato dei nuovi biomarker per la diagnosi della celiachia identificabili attraverso l’esame del sangue o delle urine.
Parliamo di microRNA (miRNA), piccoli frammenti di RNA non codificanti (18-22 nucleotidi) che regolano l'espressione genica a livello post-trascrizionale e svolgono ruoli importanti in molti processi biologici come lo sviluppo, la proliferazione e apoptosi. I miRNA sono molecole altamente stabili e tessuto-specifici il cui profilo di espressione potrebbe rivelarsi un indicatore di malattia.

Gli autori di questo interessante articolo, dopo aver sorprendentemente scoperto la presenza di miRNA in campioni bioptici di pazienti celiaci, hanno voluto indagare circa il loro ruolo nella diagnosi e prognosi della malattia.

Nello specifico lo studio ha coinvolto 120 bambini, dai 3 ai 15 anni, che sono stati suddivisi in tre gruppi: celiaci con dieta completa, celiaci con dieta senza glutine, soggetti di controllo. Dallo studio sono stati esclusi i bambini con altre malattie gastrointestinali o con condizioni autoimmuni, con diabete, disturbi psichiatrici o che avevano aderito a terapie a base di corticosteroidi orali o di ormoni.

Analizzando l’espressione dei miRNA circolanti, è stato possibile individuare tre miRNA (miR-192-5p, miR-215-5p e miR-125b-5p) specifici per la celiachia, con un alto grado di accuratezza e sensibilità.

Attraverso questi stessi 3 biomarcatori gli autori dello studio non solo erano in grado di discriminare i soggetti con celiachia dai controlli, ma anche di valutare il grado di aderenza alla dieta senza glutine tra i soggetti celiachi.

Dallo studio emerge, inoltre, come queste molecole potrebbero rivelarsi un utile strumento anche per la diagnosi di celiachia nei pazienti borderline, i cui livelli di IgA-TGA sono bassi e quindi la cui diagnosi è alquanto incerta (sensibilità del 84,6%, specificità del 84,2%).

Cosa cambierà in futuro grazie a questa importante scoperta?
Innanzitutto, nei bambini si potranno evitare esami invasivi per la diagnosi della celiachia, come endoscopie e biopsie intestinali.
In secondo luogo, potranno essere introdotti sul mercato nuovi kit diagnostici, vantaggiosi sia per il paziente che per la spesa sanitaria.
Di sicuro dovranno proseguire le indagini, espandendo lo studio ad un campione più ampio affinché questi risultati ottenuti ad oggi possano essere validati con grandi coorti, ma le premesse sembrano buone per l’introduzione di un nuovo metodo di fare diagnosi di una patologia che purtroppo riguarda una gran fetta della popolazione nel nostro Paese, ed in tutto il mondo.

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